Delle pagine di Ernesto Rossi

Ultimamente [Arrigo] Cajumi ha riproposto, sulla «Stampa», il problema del finanziamento dei partiti.' Le organizzazioni dei partiti sono macchine per fabbricare voti. Dall'efficienza di queste macchine dipende il successo nelle elezioni e, in conseguenza, la composizione delle maggioranze e la formazione del governo centrale e delle giunte regionali, provinciali e comunali. In regime di suffragio universale (specialmente in un paese come il nostro, in cui la grande maggioranza della popolazione non sa neppure leggere l'orario ferroviario) le precisazioni programmatiche e l'idoneità delle persone ad assolvere il compito di legislatori, di amministratori e di controllori significano ben poco. Le grandi masse non si conquistano con i ragionamenti, ma facendo appello agli istinti e ai sentimenti più elementari, con i metodi di imbonimento con i quali vengono indotte a entrare nel baraccone delle meraviglie, ad affollare la piazza in cui è impiccato un traditore del popolo», a masticare chewing gum e a bere Coca-Cola: slogan di poche martellanti parole, cartelloni a colori piatti, promesse irrealizzabili, suoni di trombe, sventolio di bandiere. Durante le ultime elezioni politiche, l'effigie di Garibaldi, nei manifesti del Fronte popolare, fu una discreta trovata, perché Garibaldi con i capelli e la barba alla Nazareno e il poncho sulle spalle era una figura pittoresca, che risvegliava gradevoli associazioni di idee, ma era una trovata che faceva troppo affidamento sui ricordi lasciati dal libro di lettura della terza elementare: valeva certamente meno della statua della Madonna che scuoteva la testa sul frontone della chiesa di Santa Maria degli Angeli ad Assisi. Infatti, nel corso della campagna, i comunisti cercarono di mettersi al passo con i loro concorrenti attribuendo, in alcune regioni del Mezzogiorno, a testa dell'eroe dei due mondi a san Giuseppe, più favorevolmente conosciuto dagli elettori. Ma la testa di un eroe o di un santo rende molto meno delle gambe di una bella figliola. Gli americani l'hanno capito, e da un pezzo hanno esteso alla propaganda elettorale quel medesimo sex appeal che aveva dato buoni risultati nella vendita dei saponi, dei dentifrici e degli altri prodotti poco costosi, di più largo consumo. Lo stesso senatore Roberto Taft, personalmente uomo austero (e, per giunta, fiancheggiato da una (moglie) — scrive un anonimo che ha dedicato all'argomento alcune brillanti pagine nello "Spettatore italiano" del maggio 1949 — quando si presento alla convenzione del suo partito mise sulla porta dell'ufficio alcune belle ragazze in costume succinto. Fu battuto perché altri candidati fecero meglio di lui.» D'altra parte nessuno può pretendere che, col voto, venga dato un giudizio sulle qualità morali e intellettuali dei candidati. Il grosso pubblico, quello che fa valanga nelle elezioni, conosce tutt'al più una decina fra le centinaia di nomi che sono presentati nelle liste dei candidati [...], e li scambia facilmente gli uni con gli altri: neppure la notorietà dei maggiori leader politici potrà mai arrivare a competere con quella dell'uxoricida condannato dopo un appassionante processo di Corte d'assise, del vincitore del Giro d'Italia e dell'artista rubacuori nei film di avventure amorose. Fuori della ristretta cerchia degli iniziati, nessun elettore sa chi siano, che professioni esercitino, dove abitino, che famiglia abbiano, come vivano le persone a cui delega il potere di rappresentare la sua volontà negli organi legislativi e amministrativi del paese. Questa non è una conseguenza della rappresentanza proporzionale. E' una conseguenza del suffragio universale. Ai tempi di Cavour chi riusciva deputato poteva riunire attorno a un tavolo, al ristorante, tutti coloro che avevano votato in suo favore. Oggi, anche se le elezioni venissero fatte col sistema del collegio uninominale, il numero degli elettori e cosi grande che un deputato non potrebbe arrivare neppure a ringraziare con una stretta di mano tutti coloro che hanno votato per lui. Ne credo la scelta migliorerebbe col ritorno al collegio uninominale. Giudicare gli uomini e una delle cose più difficili in questo basso mondo in cui andiamo avanti tutti a forza di cantonate. Anche le persone intelligenti si accorgono spesso di avere mal giudicato i loro familiari, con i quali hanno convissuto tutta la vita. Se gli uomini capaci, più onesti, più amanti del pubblico bene, fossero riconoscibili per un tondino rosso, più o meno acceso, sulla punta del nano, o per qualsiasi altro segno analogo, facilmente individuabile, i rapporti diretti fra elettori e candidati darebbero forse buoni risultati. In mancanza di questi segni, anche nelle elezioni dirette alle cariche dei corpi più ristretti e più qualificati, la scelta cade generalmente sui chiacchieroni, sui demagoghi che si fanno avanti spudoratamente, promettendo quello che sanno benissimo di non poter manifestare, sulle persone più capaci di predisporre, con intrighi e manovre di corridoio, le assemblee in loro favore. Avviene questo perfino nelle società anonime, nelle cooperative, nelle commissioni interne delle fabbriche, in cui alle persone scelte per le cariche sociali viene affidato il compito di difendere gli interessi immediati, pecuniari, meglio conosciuti e che stanno più a cuore agli elettori. Un ritorno al collegio uninominale farebbe ancor più prevalere gli interessi campanilistici sugli interessi nazionali e costringerebbe i parlamentari a ubbidire alle camarille dominate da chi da lavoro agli elettori e quattrini alle organizzazioni politiche del luogo: farebbe cadere dalla padella nella brace. Con lo scrutinio di lista e il suffragio universale i candidati sono oggi scelti dai comitati direttivi dei partiti, prima di tutto fra i componenti dei comitati stessi; poi fra le persone più ricche disposte a dare un contributo per la campagna elettorale, o che vengono da esse indicate; poi fra le persone di fama nazionale (per aver compiuto un'impresa eroica, per aver battuto un record sportivo, per aver scritto un romanzo di gran-de successo), che possono servire come lo zibibbo nel pan di ramerino; e infine la grande massa viene scelta fra le persone insignificanti, che non daranno seccature. Un imbecille semianalfabeta, specialmente se «esce dal popolo» e si pub contare sulla sua assoluta docilità agli ordini di scuderia, va molto meglio del professore universitario, che ha una buona preparazione giuridica, economica e amministrativa, ma che vorrebbe tutto capire, tutto discutere, tutto criticare: l'intellettuale e sempre poco disciplinato, pianta grane, minaccia di portar via la poltrona di sotto ai compagni, già sistemati sulla scala gerarchica del partito. Non credo di essere troppo pessimista affermando che, in nessun paese democratico, laboriosi e costosi procedimenti per mettere assieme in un'assemblea i migliori rappresentanti del popolo danno risultati pia soddisfacenti di quelli che sarebbero conseguibili con restrazione a sorte. Se, per un gioco di magia, i deputati fossero da un momento all'altro sostituiti da altrettante persone prese a caso in un'ora di punta all'uscita della stazione, il livello morale e intellettuale della rappresentanza in parlamento non ne risulterebbe abbassato, ne l'attività legislativa peggiorerebbe: basterebbe escludere gli analfabeti, i minorenni e gli invalidi.

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La democrazia moderna è nata dalla concezione ottimistica sull’umanità degli illuministi: dalla credenza che l’uomo fosse naturalmente buono e capace di intendere quello che è il suo vero bene; che gli interessi dei singoli naturalmente coincidessero con l’interesse della collettività; che il popolo chiamato a scegliere i suoi rappresentanti al governo sapesse e volesse scegliere i migliori. Ma noi non abbiamo più queste illusioni. (…) Il nostro attaccamento alle istituzioni democratiche non deriva più da una concezione ottimistica, ma da una concezione estremamente pessimistica sull’umanità: dalla nostra sfiducia nella capacità politica delle masse; dalla consapevolezza che il potere corrompe anche i migliori; dalla paura dell’arbitrio dei governanti e dalla potenza maciullatrice dello Stato moderno; dalla tragica esperienza che abbiamo vissuto sotto la dittatura dell’uomo della Provvidenza che aveva sempre ragione.

Per salvare le libertà individuali occorre cercare nuovi limiti, nuovi vincoli, nuovi contrappesi che impediscano ai governanti di abusare del loro potere: i vecchi non ci soddisfano più perché costano troppo e trasformano la repubblica in plutocrazia.

 

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