Un approccio al tema sociale. Per una nuova visione politica.Parte prima
Schede primarie
Ed arriviamo al primo pippone, scritto per fissare degli appunti personali da rielaborare con calma. Perché pubblicarlo su fb allora? Perché su fb ci sono persone interessanti che potrebbero arricchire o smontare l’ipotesi che cerco di avanzare. Da tempo trovo interessante il lavoro di Amartya Sen. Lo trovo interessante per molti motivi, non ultimo il fatto che il suo modo di vedere può stimolare il dibattito sui contenuti di una cultura di sinistra. Però il suo lavoro ha la caratteristica di essere complesso, di aver sviluppato in ogni punto toccato un amplissimo dibattito che ha anche aspetti tecnici non indifferenti. Scrivo questi appunti per chiarire alcuni aspetti che ritengo importanti con il dibattito sollevato sullo sfondo. L’obiettivo è divulgare un modo “nuovo” di affrontare problemi classici ed annosi, cercando di essere semplice e chiaro. Non seguirò un impianto filologico e ricostruttivo del pensiero di Sen, ma illustrerò alcuni concetti chiave del suo pensiero in “astratto”, lasciando al lettore gli sviluppi possibili. Infatti credo questo sia il pregio maggiore dei Sen, il suo è un pensiero “forte”, cioè coerente logicamente, ma aperto, cioè in progress. Non un pensiero in cui la teoria guida la prassi, ma la prassi che viene “chiarita” dalla teoria. Partiamo dal più classico dei suoi problemi: quello delle carestie, della fame nel mondo. Sen è di origine e cultura indiana e il suo interesse per l’economia nasce dall’esperienza delle devastanti carestie che il suo paese ha vissuto negli anni ‘40 e ‘70. L’interpretazione classica è che le carestie siano effetto della mancanza di cibo. Una carestie viene prodotta da eventi naturali che distruggono i raccolti agricoli per cui si produce una carenza di offerta di cibo rispetto alla domanda. La soluzione classica è un mix tra l’aumento della produzione agricola, mediante miglioramenti delle tecniche e delle culture, ed interventi umanitari che assistano la popolazione. Sen osserva che l’approccio “scarsità di cibo” non spiega tutte le carestie, e nemmeno la fame endemica. Infatti alcune carestie si manifestarono quando la produzione agricola aumentava anziché diminuire. Come si spiega? Secondo Sen per spiegarlo è necessario introdurre alcuni concetti. Il primo e fondamentale è quello di entitlement, spesso tradotto con l’italiano “attribuzioni”. Con questo concetto Sen intende l’insieme delle cose che possiamo acquisire sul mercato, i beni di cui possiamo usufruire, possiamo acquisire. L’entitlement dipende da molte caratteristiche personali: le nostre proprietà, le nostre capacità, il nostro livello d’istruzione e di salute. Una persona in buona salute, con un buon livello d’istruzione o con la proprietà di un appezzamento di terreno ha un livello maggiore di entitlement. Ma l’entitlement dipende anche dalle condizioni dello scambio, l’esempio classico è quello relativo all’aumento del prezzo delle derrate alimentari a causa di un cattivo raccolto. L’aumento del prezzo può ridurre l’entitlement di un individuo o di interi gruppi. E, naturalmente, l’aumento del prezzo può dipendere sia da un cattivo raccolto che da mille altre cause, ad esempio l’apertura di mercati locali a mercati più ampi. Questo vuol dire che le “attribuzioni” non sono costanti, ma variano al variare delle condizioni. Spesso le carestie sono prodotte non tanto da una carenza di cibo, ma dal fatto che non tutti hanno accesso al cibo per carenza di “entitlement”. Sin qui sembra sia solo una questione terminologica, filosofica, un “voler spaccare il capello in quattro”, ma le conseguenze sono importanti perché spiegano come sia possibile che ci sia la povertà e persino la fame non solo in comunità primitive e terre inospitali, ma persino nel mondo del benessere diffuso. Puoi morire di fame a New York se le tue “attribuzioni” sono insufficienti e le tue attribuzioni possono diventare insufficienti per i motivi più svariati, ad esempio una malattia invalidante. L’attenzione viene posta non tanto sul meccanismo che regola le quantità di beni, la legge della domanda e dell’offerta, ma sulle condizioni dello scambio. La conseguenza più importante è che il “mercato” non è un meccanismo naturale, ma un meccanismo storico dipendente da fattori che esulano dalla classica analisi economica, ad esempio l’appartenere ad un paese diviso in caste espone a problemi di carenza di entitlement le caste svantaggiate, uno choc di qualsiasi entità e prodotto da qualsiasi motivo può produrre una perdita di valore delle “attribuzioni” che può produrre fame o carestie persino in un contesto di prosperità generale. Questo giustifica un intervento politico ben più ampio di quello previsto dall’economia classica e soprattutto un intervento che tocca ambiti apparentemente lontani dal problema. Un paese che voglia evitare le carestie deve avere un sistema sanitario efficiente ed un sistema d’istruzione universale e norme che evitino le discriminazioni. Inoltre il fatto il mercato sia un fenomeno storico induce a pensare che le attribuzioni non siano date alla nascita per sempre, ma possano variare più volte nel corso della vita di ognuno. Le famose “condizioni uguali di partenza” non sono sufficienti perché anche se partissimo uguali, le scelte fatte potrebbero portare ad “attribuzioni” diverse. Supponiamo che si abbia un sistema d’istruzione e sanitario di base comune, ma io abbia scelte alimentari sbagliate, o fumi, o decida di non studiare, o di studiare poco le mie “attribuzioni” diminuiscono. Possiamo operare obbligando l’individuo a scelte corrette, oggi questa tesi è sviluppata da Richard Thaler, lo scopritore del Nudge, ma il fatto è che quelle che oggi appaiono scelte corrette potrebbero, domani, manifestarsi scorrette al mutare delle condizioni dello scambio. Oppure possiamo ritenere che basti l’assistenza caritatevole verso coloro che si trovano in condizioni di scarsità di attribuzioni. Ma in entrambi i casi avremmo un sistema economico sociale inefficiente, cioè in cui le modalità di scambio funzionano male. A titolo di ipotesi potremmo avere un sistema in cui coloro che vivono la condizione di scarsità di attribuzioni siano in numero tale da rendere difficoltoso il mantenimento di un sistema di welfare sufficiente. Che lezione trarre? La prima che le soluzioni “più stato” o “più mercato” non funzionano perché le interrelazioni sono molteplici ed hanno aspetti sociali e culturali. La seconda è che il reddito è solo una delle dimensioni della questione e non quella determinante, paradossalmente redditi più elevati possono non essere sufficienti a garantire le condizioni di vita presenti in società che hanno redditi inferiori, bisogna considerare molti altri aspetti ed il ruolo dello stato si amplia e complica. Terzo che ogni soluzione deve essere orientata all’aumento dell’entitlement personali anziché essere mirate ad un aspetto diretto e monodimensionale, ad esempio il reddito.