Qualche chiarimento sulla tassazione dei BOT
Schede primarie
Qualche giorno fa ho pubblicato su Facebook un post in cui mi dichiaravo contrario alla proposta Delrio di aumentare la tassazione sui titoli di stato, per la verità come si vedrà non sono “ideologicamente” contrario, ma “pragmaticamente” contrario alle condizione date.
Un amico che stimo mi ha fatto notare come sia ingiusto che il lavoro sia tassato al 30% ca, dipende dalle aliquote, ed invece i BOT lo siano al 12,50% e sono d'accordo in linea di principio, ma nel concreto le cose non stanno così.
Infatti bisogna chiarire un paio di cose, cercherò di schematizzare, semplificando:
1) La tassazione sui titoli di stato è al 12,50% per le persone fisiche per le imprese di capitale essa entra nel calcolo IRES è pertanto è tassata al 33%. Insomma se il possessore di BOT è una persona la tassa è del 12,50% se una banca è del 33%. Quindi per la persona fisica l'aumento riduce il rendimento, per una società di capitale no, a meno che l'aumento produca una tassa maggiore o uguale al 33%
2) La teoria economica sostiene che la tassazione è ininfluente. Infatti se aumentiamo del 1% l'imposta, questo dovrebbe produrre un aumento dell'interesse dell'1%. Per una disamina di quest'aspetto qui In realtà questa teoria non è, in generale, corretta poiché assume che la domanda sia perfettamente elastica o che l'offerta perfettamente rigida. Ovvero che l'investitore possa trovare, a costo zero, un investimento alternativo o che lo Stato non possa ridurre la quantità di offerta. E' chiaro che la domanda non è perfettamente elastica e l'offerta potrebbe non esserlo, in caso di riduzione del debito. Se la domanda fosse sufficientemente poco elastica e l'offerta fosse elastica, l'aumento si tradurrebbe in un guadagno delle entrate. Aggiungiamo che per le società di capitale un aumento dell'imposta con conseguente aumento del rendimento lordo vorrebbe dire una diminuzione del rendimento marginale del capitale investito cosa che potrebbe spingere ad un maggior acquisto di titoli per ridurre il rendimento lordo ed aumentare l'efficenza marginale. Questa è meno chiara da capire, facciamo un esempio se io, società di capitale, investo 100 euro ad un tasso del 3% il mio rendimento lordo è di 3 euro, pagherò il 33% di tasse ovvero 0,99 euro ed il rendimento netto sarà 2,01 euro. Se il rendimento aumenta di un 1% inconseguenza di un aumento della tassazione dell'1%, abbiamo visto che non è esattamente così, ma possiamo assumere che lo sia, il mio rendimento lordo è di 4 euro, tassato sempre al 33%, il rendimento netto è di 2,68 euro, come si vede l'incremento dell'interesse non si trasferisce interamente sul rendimento netto per cui il mio investimento rende “marginalmente” di meno, pur guadagnando io di più. Potrei, perciò, essere indotto ad acquistare di più. Come sostiene Stiglitz “In definitiva l'imposta sarebbe parzialmente sopportata dagli investitori individuali e si tradurrebbe in parte in un aumento del rendimento netto ottenuto dagli investitori imprese”.
3) Bisogna vedere, come sostiene noisefromamerika, se l'aumento si applica alle nuove emissioni o alle “vecchie”. Se si applica alle nuove l'entrata, il ricavo per lo stato, ove ci fosse, sarebbe minimo, se si applicasse alle “vecchie” gli effetti sui tassi si potrebbero vedere, traducendosi in un “mini default”. Ma su questo lascio la parola all'articolo di noisefromamerika.
Ora, a parte l'equità di penalizzare i risparmiatori e “regalare” soldi alle banche, anche se l'operazione funzionasse, ovvero permettesse un ricavo positivo ai conti dello stato senza influire sui tassi, questo risultato sarebbe raggiunto aumentando la quantità di titoli in possesso di società di capitali, ovvero aumentando la “volatilità” dei titoli. In sintesi e semplificando, il risparmiatore che ha investito in titoli la “buonauscita”, in genere, lascia l'investimento sino al termine, godendosi gli interessi, la società di capitale, invece, compra e vende sul “mercato secondario”, a volte al ribasso, interessata ai derivati ed ad altri prodotti finanziari, giocando con lo “spread”. Una delle difficoltà del nostro debito è la sempre più bassa percentuale in mano ai risparmiatori italiani e la sempre più alta percentuale in mano a fondi stranieri e banche italiane e non. Siamo sicuri che favorire questo processo sia utile?
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