Il carro ed i buoi
Schede primarie
Una delle proposte più controverse del sottosegretario Reggi è quella di ridurre di un anno la durata della scuola secondaria di II grado. La proposta non è nuova, ma la motivazione o giustificazione si, in genere si diceva di volere questa riduzione perché “lo vuole l'Europa”, per permettere ai giovani italiani di uscire dalla scuola alla stessa età dei giovani europei, per permettere l'ingesso nel mondo del lavoro un anno prima, con effetti benefici sul PIL del paese, questo è uno dei misteri gloriosi dell'economia che non comprende l'esistenza di disoccupazione “strutturale” e lega la “produttività” all'offerta anche nel mercato del lavoro, oggi a queste motivazioni si aggiunge una motivazione di “qualità”. Infatti la critica al ragionamento era che una riduzione di tempo scuola comportava una riduzione di qualità degli apprendimenti, si legava così strettamente “quantità” e “qualità”. Ora è evidente che questo legame è tutto da dimostrare, ma anche il suo contrario ovvero che ridurre la “quantità” produca un aumento della “qualità”. Occorreva collegare una teoria economica, ridurre i costi, aumentando la qualità, grazie all'innovazione tecnologica o di processo, ovvero il tema dell'efficenza economica ad una teoria pedagogica/didattica, ovvero un'innovazione nella didattica che permetta di aumentare la qualità degli apprendimenti, la pietra filosofale dell'efficacia. Con una slogan una scuola più efficiente, in senso economico, ovvero che utilizzi meglio le “risorse” scarse, per definizione, e più efficace, ovvero che riduca dispersione, disagio e garantisca apprendimenti di qualità. Oggi questo legame esiste o almeno è entrato nel dibattito in maniera più articolata, Keynes sosteneva che “Le idee degli economisti e dei filosofi politici, tanto quelle giuste quanto quelle sbagliate, sono più potenti di quanto comunemente si creda. In realtà il mondo è governato da poco altro. Gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto”, anch'io penso che un uomo intelligente possa con le sue idee modificare la percezione delle cose e penso anche che discutere idee sia giusto. Fatta questa premessa si tratta di vedere quale sia questa pedagogia capace di rivoluzionare la scuola, credo essa sia collegata alla parola magica che da tempo abita le aule: competenza. Il problema è che essa è un po' come l'araba fenice, parafrasando, “che ci sia ciascun lo dice, cosa sia nessun lo sa”. Semplificando molto, si dice che non è necessario accumulare conoscenze se possiamo “costruire” modalità di acquisizione ed organizzazione delle conoscenze più efficaci. Se insegno per “conoscenze”, accumulo dati o procedure, ma se insegno competenze insegno come “costruire” o “ricostruire” le conoscenze e le procedure. La tematica non è nuova, per gli storici la rintracciamo nei risultati del lavoro dei “saggi” di Berlinguer come nella pedagogia di Gentile. Infatti si dimentica, o non si sa, che per il buon Gentile lo studio della filosofia non era per niente quello del famoso “orario ferroviario”, da Kant a Nietszche, passando da Hegel e Kierkegaard, ma implicava la lettura di tre o quattro testi ed il rapporto diretto tra maestro ed allievo che “misteriosamente” avrebbe permesso la crescita di quella che era chiamata “maturità” e che, in definitiva, corrisponde alle famose competenze, poi Bottai aveva cambiato tutto. Insomma per Gentile s'imparava filosofia facendo filosofia. Il famoso “imparare facendo” era già nel filosofo siciliano ed anche “l'imparare ad imparare” che era il contenuto del rapporto maestro-discepolo. Oggi abbiamo aggiunto una declinazione più precisa (?!?) delle competenze, o almeno riteniamo di averlo fatto. E' ovvio che una “didattica per competenze” può, in teoria, essere più “breve” del tradizionale corso di studi, che in gran parte è fatto da compiti noiosi e ripetitivi. Narro spesso un aneddoto relativo al matematico Gauss: si narra che nell’800, prima del ’68, ed in Germania un maestro di scuola elementare, non avendo voglia di far lezione, abbia assegnato ai suoi alunni un compito: contare tutti i numeri da 1 a 100. Così facendo pensava di disporre di quell’oretta per farsi gli affari suoi, ma un alunno dopo un paio di minuti rispose: 5050. Naturalmente fu ampiamente sgridato, gli si disse di non provare a fare il furbo, di non tentare di tirare ad indovinare. Il maestro deciso a fare giustizia di quell’impertinente fece il calcolo, figuratevi la meraviglia quando scoprì, dopo un’oretta, che faceva 5050. Chiesto all’allievo come avesse fatto, l’allievo spiegò che aveva osservato che, se si associano i numeri equidistanti dagli estremi si ottiene sempre 101; poiché le coppie sono ovviamente in numero di 50, la somma è, banalmente, 5050, un calcolo facile da fare a mente.
E' ovvio che se riesco a costruire la competenza di Gauss nel “leggere i numeri” mi risparmio le ore per calcolare quanto faccia “1+2+3+4+5...+95+96+97+99+100”. Il problema è come “costruire” competenze? Una soluzione empirica gira per le scuole con esempi in storia: anziché ripercorrere tutte le vicende umane, perché non selezionare “casi esemplari” su cui costruire ragionamenti complessi ed articolati? In fondo chi conosce le scuole degli altri paesi sa che la storia viene insegnata più o meno così, o almeno così me la raccontano i miei alunni che frequentano anni all'estero. D'altronde chi riesce oggi a studiarla tutta? Oppure chi riesce ad ampliare la visione da eurocentrica a mondiale? Lo stesso statuto della storia è cambiato con la “lunga durata”, la microstoria, il rapporto interdisciplinare... chi oggi ripeterebbe con Ranke che la storia è il racconto di ciò che è avvenuto? Proviamo a riflettere su questa proposta, però cerchiamo di non mettere il carro davanti ai buoi.: Qualcuno può fare un esempio di “didattica per competenze” in cui siano coniugate efficienza ed efficacia? Se si, bene, continuiamo la discussione, altrimenti di che parliamo? Naturalmente io ci proverò, anche se i risultati finali saranno intuitivi: fare meno, se si vuol fare bene, comporta più tempo non meno. “Produrre” Gauss, ammesso si possa, costa di più, non di meno, proprio come per le Ferrari.
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